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DIDATTICA il senso della parola “laboratorio” nei documenti del Miur

Data 13/5/2005 19:31:56 | Categoria: Aggiornamento

di Franco Mura
Chi volesse cogliere dai documenti del Miur il senso della parola “laboratorio” può tralasciare sia la legge delega n. 53 del 28 marzo 2003, sia il decreto legislativo n. 59 del 19 febbraio 2004 che non ne fanno menzione se si esclude un vago richiamo negli allegati4

Dove invece si fa riferimento a questo termine (riportato 43 volte) è nelle Racco-mandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i “Piani di Studio Perso-nalizzati” nella scuola primaria ed ancora (125 volte) nelle “Ipotesi di modelli orga-nizzativi della scuola primaria”.
Nelle raccomandazioni pare di cogliere un binario formativo che si sviluppa parte in classe e parte in laboratorio: “Il Psp si concretizza nell’organizzazione di Unità di apprendimento, alcune delle quali si realizzano nel gruppo classe, altre in gruppo di Laboratorio”.
Tra questi due ambienti di apprendimento si tende ad attribuire al laboratorio una funzione centrale di sintesi “… il Laboratorio è il luogo privilegiato in cui si realizza una situazione d'apprendimento che coniuga conoscenze e abilità su compiti si-gnificativi per gli alunni, possibilmente in una dimensione operativa ed applicativa che li metta in condizione di dovere e poter utilizzare il proprio sapere in modo competente” .
Su questa falsariga vengono suggeriti una molteplicità di laboratori praticamente per tutte le attività, religione inclusa, la cui unica complessità è costituita dalla dif-ficoltà di gestione degli stessi. Per gruppi classe “…ciò non significa, però, che le attività laboratoriali non possano essere organizzate anche nel gruppo classe” oppure “di classi parallele, riuniti per livello di capacità o apprendimento, o per eseguire un preciso compito, o per assecondare interessi e attitudini comuni” od ancora “…per elezione a seconda della necessità didattica e di apprendimento”.
Pur nella divisione dei due momenti didattici e nonostante le macchinosità orga-nizzative, i laboratori assumono nelle suggestioni didattiche evocate nelle racco-mandazioni una loro dignità ed un loro ruolo.
Ma nelle stesse raccomandazioni, dove vengono esplicitamente indicati 6 labora-tori da attuarsi all’interno della quota oraria obbligatoria nell’ultimo triennio della scuola primaria, si colgono le premesse per la loro marginalizzazione.
È infatti in questo stesso documento si parla di “.. percorsi opzionali” gestiti da in-segnanti “competenti” e “ disponibili” che possono essere anche “organizzati in rete” utilizzando “competenze diverse ed esterne alla scuola” e non necessaria-mente all’interno della stessa istituzione.
Ancora meglio si evince la riduzione del laboratorio ad episodio marginale quan-do, nelle “Ipotesi di modelli organizzativi”, si osserva la quota oraria loro assegnata negli schemi orari settimanali suddivisi in “gruppo classe (lezioni)” – “gruppo classe (laboratori)” - “laboratori interclasse”.
Possiamo quindi concludere che, nella confusione e nella contraddittorietà dei te-sti, si è persa una occasione di cambiamento. Il modello didattico che emerge, in-fatti, si basa ancora sulla “lezione” integrata, dove possibile e/o necessa-rio/richiesto, dai laboratori. Tra questi il laboratorio di recupero “LARSA” è senza dubbio il più presente.

Il laboratorio e l’aula: una concezione diffusa

Ma i documenti ufficiali non fanno altro che ricalcare una rappresentazione diffu-sa della scuola nella quale l’idea di laboratorio rimanda ad uno spazio particola-re, attrezzato per lo svolgimento di attività specifiche, auspicato ma non indispen-sabile. Questa concezione richiede la presenza di spazi appositi, sempre aggiuntivi rispetto all’aula. Rimane salda quindi l’equazione: tot aule tot classi, alle quali van-no aggiunti – dove le strutture lo consentono – i laboratori. La loro attuazione rimane quindi legata alla disponibilità di spazi (altri) e, la loro realizzazione, non coinvolge necessariamente il “normale” far scuola.
La pratica didattica, quindi, spesso ancorata ad una concezione trasmissiva del sapere, si svolge prevalentemente nell’aula, in troppi casi ancora arredata con la struttura classica – cattedra e file di banchi ad essa rivolti – intesa come spazio polivalente in quanto l’atto di trasmissione può anche prescindere dall’ambiente in cui esso si realizza e non utilizza strumenti particolari.
Così l’aula diventa spesso un coacervo di materiali diversissimi tra di loro, con stra-tificazioni annuali e stagionali, e le pareti mute testimonianze di laboriose spartizio-ni espositive tra le diverse discipline.
Nella scuola elementare (oggi primaria) dove una pratica innovativa rende inevi-tabile l’uso di mediatori didattici, i docenti (anche qui non sempre e non tutti) so-no costretti al trasporto costante dei materiali utili alla proprio disciplina ed alla duplicazione degli eventuali cartelloni illustrativi per le diverse classi in cui l’organizzazione del lavoro richiede il loro intervento.
Certamente una organizzazione del lavoro incentrata sull’aula polivalente trova nella trasmissione orale e nelle fotocopie che successivamente impreziosiranno il “quadernone” la strada più semplice per la didattica, pur se la meno fruttuosa.

Laboratori, mediatori didattici, formazione docente.
Ma il concetto di laboratorio richiama...
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